avete ragione...adesso spiego...lo staff conmodo posta con il titolo "un'altra parte" l'articolo che il "berga" ha scritto e pubblicato nell'ultimo numero del bozzone. precedentemente ha postato con il titolo "una parte" la risposta della lista civica di crevalcore al sopracitato articolo. rendo noto che tutte le parti in causa sono state avvisate di questo blog.
no! credo proprio di no! no! no! no!
mi sembra corretto allora documentarsi, con lo stesso zelo col quale si è documentata la lista civica.
per avere una linea con questo anticonvenzionale blog allego una tesi (non nella versione integrale) dedicata a berga pubblicata su internet:
"Alberto Bergamini",Il Giornale d'Italia e l'invenzione della terza pagina"
Anno: 1997-98
Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Relatore: Guido Prof. Verucci
Area:
Facoltà: Lettere e Filosofia
Corso: Lettere moderne
Consultazioni integrali:1
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Nell’ambito della storia del giornalismo un posto di particolare rilievo occupa l’invenzione della terza pagina, ovvero di una pagina di impostazione prevalentemente culturale che contribuisce ad arricchire e a valorizzare il contesto in cui essa è inserita. L’obiettivo di questo lavoro è quello di seguire, nelle sue linee essenziali, lo sviluppo diacronico di tale creazione e di sottolinearne il carattere fortemente innovativo, strettamente legato alla personalità del suo ideatore e al contributo, a livello di contenuti e di forma, che essa ha apportato.
L’invenzione della terza pagina , databile all’inizio del XX sec. si inserisce in un processo di sviluppo del giornalismo che eredita e fa propria la forte tradizione del giornalismo inglese e di quello lombardo-veneto. Il giornale moderno era nato infatti nel clima del primo Illuminismo dalla fusione delle gazzette periodiche con la letteratura pamphlettistica, di tono prevalentemente polemico e satirico, in un contesto ideologico molto particolare, in cui il ceto intellettuale si apriva alle idee di riforma e in cui si andava affermando la libertà di stampa. Il giornalismo inglese, per primo, ( è questo il caso del trisettimanale “The Review” <1704> di D. Defoe, del “Tatler” <1709> e del “The Spectator” <1711>), si era aperto al mondo della letteratura con l’introduzione di novelle filosofiche pubblicate a puntate nelle ultime pagine del giornale ; in particolare lo “Spectator” impegnato su temi e polemiche di rinnovamento sociale e politico aveva fornito un modello e un punto di riferimento a celebri periodici italiani quali la “Gazzetta Veneta” di G. Gozzi, la “Frusta letteraria” di G. Baretti e soprattutto “Il Caffè” dei fratelli P. e A. Verri (1764). Parallela era stata la pubblicazione di periodici più strettamente impegnati in campo culturale e filosofico sul modello del parigino “Journal des Savants”. In seguito nel vivace ambiente della Francia orleanista si era cominciato a diffondere e a far presa sulle masse il giornalismo popolare, meno impegnato ideologicamente ma indirizzato a un gran numero di lettori, arricchito dalla pubblicazione di opere narrative a puntate, i famosi “feuilletons” ( tra i tanti fogli francesi di questo genere di pubblicazioni, esemplare resta “
Insomma, settimanali, periodici o quotidiani che fossero, essi presentavano un carattere complessivamente culturale oppure nell’ambito di altri temi (politici, sociali, ecc.) si limitavano a riservare uno spazio ridotto alla pubblicazione di opere narrative, in genere ancora sconosciute. Ed è probabilmente per questo motivo, come sottolinea il Falqui , che nessuno tra questi giornali fu in grado di individuare la formula giusta in grado di garantire un’adeguata connessione tra letteratura, politica, cronaca, attualità, finendo per morire lentamente dopo un grande entusiasmo iniziale e lasciando aperta la strada a diverse alternative. Tra queste una funzione di anticipazione e una sorta di simbiosi tra letteratura e giornalismo prima della creazione della terza pagina venne svolta in Italia dalla pubblicazione della pagina letteraria festiva (“L’Opinione” e Il Fanfulla”), dall’introduzione nelle pagine di rubriche quotidiane di varietà (“L’Opinione”) e dall’inserimento saltuario della materia culturale che ebbe poi ampio sviluppo la domenica, quando il giornale usciva in otto pagine (“Il Giorno”).
Soffermando pertanto l’attenzione sulla situazione della stampa italiana del primo ‘900 si può affermare che rispetto al passato, immediatamente posteriore all’unificazione in cui il giornalismo aveva incontrato molte difficoltà oggettive (analfabetismo diffuso, limitazione dei diritti politici, mancanza di un’identità linguistica nazionale corrosa dalla sopravvivenza dei numerosi dialetti, vendita dei giornali limitata ai botteghini delle tipografie e delle librerie e presente soprattutto nelle forme dell’abbonamento, inesistenza della figura professionale del giornalista) , essa raggiunge un livello di sviluppo e di affermazione di grande rilievo. La stampa arriva addirittura ad assolvere la funzione di un “quarto potere”, conquistando gradatamente una propria autonomia e la consapevolezza del ruolo determinante che sta assumendo nel mondo delle comunicazioni di massa in cui fruitore e destinatario non è più, soltanto, un’elite ristretta e chiusa in sé, stessa, ma una fascia di pubblico, culturalmente più impegnato e più attivo. In particolar modo la situazione cambia radicalmente nell’età giolittiana, una fase della storia italiana che coincide con l’epoca d’oro del giornalismo d’opinione contraddistinto dal rafforzamento delle grandi testate e dalla decadenza dei piccoli giornali.